COS’È LO SPREAD
Dall’estate del 2011 tutti i mass media sono stati invasi da titoloni e annunci sullo “spread”, un termine oscuro per la gran parte dei cittadini. Per lungo tempo le cronache giornalistiche, l’agenda politica e le politiche economiche sono stata dettate dalle necessità di tenere sotto controllo lo “spread”. Ma cerchiamo di spiegare di cosa si tratta.
Il termine inglese spread ha molti significati ma in finanza significa: margine. Il tanto temuto spread altri non era che il margine, la differenza di rendimento tra titoli di Stato italiani e titoli di Stato tedeschi, i famosi Bund, o i titoli di altri paesi dell’area Euro. Ma facciamo un passo indietro, per spiegare meglio il concetto e quali sono le sue implicazioni.
Ogni Stato emette dei titoli pubblici, per esempio i BOT o i BTP in Italia, per finanziarsi. Quindi lo Stato italiano emette un BTP supponiamo a due anni a fronte del quale riconosce a chi lo acquista un tasso d’interesse. La stessa cosa fanno la Germania, la Francia e tutti gli altri Stati. Ora diverse sono le variabili che determinano il tasso d’interesse che viene pagato da ogni Stato, tra queste ce ne sono due strettamente connesse.
La prima è la classica legge della domanda e dell’offerta, una delle regole base dell’economia: se un prodotto e anche i titoli di Stato sono dei prodotti (prodotti finanziari ovviamente) è molto richiesta (domanda elevata), il prezzo di quel prodotto aumenta e viceversa. La seconda variabile per quel che riguarda qualunque tipo di investimento è la sua rischiosità. È facilmente intuibile che se presto soldi, acquistando un titolo di Stato, a paesi economicamente stabili e credibili, la rischiosità dell’investimento, quindi la probabilità di non ricevere indietro i miei soldi, è molto bassa, se invece presto soldi a uno Stato con un’economia scalcagnata, il rischio di perdere il mio investimento è molto più elevato. Ora gli Stati che sanno bene queste cose come possono attirare gli investitori? Come possono ingolosirli affinché acquistino i titoli di Stato da loro emessi? Semplice: attraverso il tasso d’interesse. Più alto sarà il tasso d’interesse promesso maggiore sarà la domanda di quei titoli. Quindi uno Stato con un’economia solida potrà emettere titoli promettendo tassi d’interesse più bassi, quindi con minore rischiosità, mentre un paese con un’economia più instabile dovrà promettere tassi d’interesse più elevati per attirare gli investitori. Ora prendiamo un esempio pratico la Germania e l’Italia, la prima ha un’economia più solida di quella italiana e quindi l’acquisto di un titolo di Stato tedesco implica una rischiosità minore ma anche un minore tasso d’interesse mentre l’Italia che ha un’economia più fragile e quindi una rischiosità maggiore dovrà promettere un tasso d’interesse più elevato. Il meccanismo è più difficile da spiegare che da capire, in realtà si tratta di un concetto abbastanza intuitivo. Facciamo un esempio di altro genere per capire meglio. Se voi siete proprietari di un appartamento che volete affittare e si presentano da voi due potenziali clienti. Il primo è un dirigente di banca con uno stipendio sicuro, che guadagna 100.000 Euro all’anno e l’altro è un giovane precario che facendo vari lavoretti guadagna 15.000 Euro all’anno, chi dei due vi offre le migliori garanzie? Voi direte sicuramente il primo. Ora si tratta di un esempio teorico, in quanto nella realtà le cose sono un po’ più complicate. Il dirigente di banca che in linea teorica offre le migliori garanzie magari è un balordo mezzo delinquente che non paga mentre il giovane precario è una persona onestissima che piuttosto salta i pasti ma paga sino all’ultimo centesimo. Comunque il concetto dovrebbe essere chiaro: gli Stati con un’economia più solida si possono indebitare emettendo titoli di Stato a tassi d’interesse più bassi rispetto agli Stati con economie più fragili!
Ora tutto questo bel ragionamento vale tra paesi diversi ma non dovrebbe valere tra paesi che fanno parte della stessa area valutaria che hanno quindi la stessa moneta, come è il caso appunto di Italia e Germania che fanno parte dell’area Euro. Se Italia e Germania hanno la stessa moneta, l’Euro, se le politiche monetarie dei due paesi sono delegate a un unico organismo che è la Banca Centrale Europea (BCE), non dovrebbero esistere differenze nel rendimento dei titoli di Stato dei due paesi e in effetti così dovrebbe essere.
Purtroppo l’area Euro è un’unione monetaria spuria, o per meglio dire incompleta nella quale la BCE non svolge la funzione di “prestatore di ultima istanza”, in pratica non svolge la funzione di “garante” per i debiti pubblici dei singoli Stati che aderiscono all’Euro. Ogni singolo Stato garantisce per i propri titoli pubblici, questa situazione fa sì che ci sia una differenza di rendimento, il famigerato “spread” tra i titoli del debito pubblico emessi dallo Stato italiano e quelli emessi dallo Stato tedesco. Lo spread è quindi un indicatore economico, una sorta di indice sintetico dell’andamento delle economie e dei debiti pubblici dei vari paesi.
In pratica lo spread è un indice sintetico della solvibilità di un paese, cioè della sua capacità di rimborsare i prestiti che ha contratto con gli investitori.
Lo spread si calcola in punti base e ogni punto corrisponde ad un centesimo di punto quindi 0,01%. In pratica se lo spread tra un titolo pubblico tedesco e uno italiano è pari a 100 punti significa che il tasso d’interesse sui titoli italiani sarà di un 1% superiore a quelli tedeschi (0,01% x 100 = 1).
Quindi se lo spread tra titoli pubblici italiani e quelli tedeschi cresce di 50 punti vorrà dire che cresce di 0,5 punti percentuali il tasso d’interesse che lo Stato italiano dovrà corrispondere agli investitori per indurli ad acquistare titoli pubblici italiani e non tedeschi. Se il rischio Italia aumenta gli italiani per continuare ad indebitarsi dovranno essere disposti a pagare tassi d’interesse più elevati. In condizioni normali, cioè per paesi indipendenti, con una loro valuta nazionale, con il pieno controllo delle politiche monetarie, il problema non si porrebbe. Io Italia emetto titoli pubblici, stabilisco un tasso d’interesse e cerco di venderli sul mercato, se non li vendo a investitori privati non c’è nessun problema, chiamo la mia Banca centrale e gli ordino di acquistare quei titoli. Chiaramente se la banca centrale acquista titoli del debito pubblico nazionale sta, di fatto, creando moneta e questa operazione nel medio termine può alimentare l’inflazione ma questo è un altro problema che vedremo in un altro articolo. In realtà ci sarebbe un’altra questione da approfondire, ma anche questo lo facciamo in un altro articolo, che è il famoso “divorzio tra Banca Centrale e Tesoro”, ma per ora non complichiamoci la vita.
Ora torniamo alla situazione nella quale siamo implicati dal 2002, da quando cioè abbiamo abbandonato le nostre lirette e siamo diventati possessori di Euro. Ora se la Banca Centrale Europea (BCE) non acquista più i titoli emessi dai singoli Stati cosa succede? Succede che i singoli Stati possono vendere i loro titoli soltanto sul mercato al prezzo (tasso d’interesse) che il mercato richiede. In pratica una grande Banca o un Fondo d’Investimento statunitense sarà disposto ad acquistare titoli italiani se questi avranno un rendimento più elevato, indice di una rischiosità più elevata, mentre se acquistano titoli tedeschi saranno disposti ad accettare anche rendimenti più bassi a fronte di una rischiosità più bassa.
Pensiamo alla situazione che si era creata nel 2011 e che portò in Italia alla caduta del governo Berlusconi e al nuovo governo Monti. Gli attacchi speculativi contro l’Italia portarono lo spread a livelli elevatissimi e tali rimasero sino alla seconda metà del 2012 quando il nuovo governatore della Banca Centrale Europea (Mario Draghi) cambiò strategia e decise una politica monetaria più attiva. Fu sufficiente che Draghi pronunciasse nel luglio del 2012, durante un forum a Londra la fatidica frase secondo la quale la BCE era disposta a fare “whatever it takes”, tutto quel che era necessario per salvare l’Euro e stroncare la speculazione internazionale. Nell’arco di brevissimo tempo gli spread tra titoli italiani e Bund tedeschi si ridussero consistentemente tornando quasi in linea. Nessuno speculatore, per quanto grande sia, osa mettersi contro una Banca Centrale disposta a tutto per difendere la sua moneta!